La fiera delle illusioni – Nightmare Alley – Il nuovo film di Guillermo del Toro

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Discussione e recensione de ‘La fiera delle illusioni’ (Nightmare Alley), l’ultimo film partorito dalla misantropa mente di Guillermo del Toro.

La fiera delle illusioni – Nightmare Alley La trama

Tuffiamoci negli Stati Uniti degli anni ’40 e seguiamo le vicende di Stanton Carlisle (Bradley Cooper per gli amici): un uomo povero in canna, segnato da un passato misterioso e tormentato.

Stan trova lavoro in un luna park itinerante dove diventa un capace mentalista, talmente bravo da abbandonare la vita da giostrante e scappare con la sua amata Molly per cercare fortuna in città. Lo spettacolo del “Grande Stanton” ha enorme successo e i talentuosi amanti calcano i palchi più prestigiosi di Buffalo per due anni.

L’avidità e l’ambizione portano Stanton a collaborare con la Dottoressa Ritter: una psicologa che mette a sua disposizione i segreti dei suoi pazienti più facoltosi. Con queste, Stan si improvvisa medium e truffa uomini influenti fingendo di poter comunicare con i defunti in cambio di denaro.

Stanton scoprirà che tra i suoi collaboratori si nascondono truffatori più astuti di lui. D’altronde l’ha sempre saputo: lo spiritismo è un gioco pericoloso che ha trascinato tutti i suoi utilizzatori alla rovina.

La fiera delle illusioni – Nightmare Alley – trailer ufficiale

La fiera delle illusioni – Nightmare Alley Parliamone un po’

Spoiler alert da qui in avanti

Prendiamo quel malato filtro fiabesco tipico delle pellicole di Guillermo del Toro e inzuppiamole nell’ambientazione circense del romanzo ‘Nightmare Alley’ di William Gresham (1947). Il risultato è un meraviglioso quadro noir, che dipinge con colori sgargianti il degrado degli Stati Uniti tra gli anni ’30 e gli anni ’40.

Candidato ai premi oscar del 2022 come miglior film. Lo sappiamo che questo non vuol dire nulla, di certo non è sinonimo di un buon prodotto, ma non è questo il caso: La fiera delle illusioni è davvero una goduria per gli occhi. Certo è lontano da essere un film perfetto e come vedremo ci sono parti in grado da prosciugarti la voglia di vivere. Non è un film della domenica, ecco.

Se non siete ancora convinti che valga la pena di investire più di due ore, vi basti pensare che all’interno del cast c’è un’arzilla Romina Power. Sì, sì proprio quella Romina Power, moglie di Albano e ‘idolo delle folle’ che si presta per un cammeo. E adesso che ho catturato la vostra attenzione, parliamo un po’ di questo Nightmare Alley.

Collezionare feti sott’olio per divertimento

Davanti alla camera da presa non c’è posto per il divertimento, lo spettacolo o l’esibizione del circo. Si raffigura invece il fango, il puzzo, l’imbroglio e il retroscena dell’intrattenimento, che ci viene proposto come una fantasiosa antitesi del sogno americano.

Insomma, l’ambientazione e la scenografia tengono saldo il primo atto del film insieme a un immenso Willem Dafoe nei panni di Clem Hoately: il proprietario del luna park che colleziona francobolli, farfalle e… Feti morti sott’olio. Tutto nella norma no?

La risposta è sì: il film riesce ad abituare il pubblico alle stranezze dei personaggi e ci culla dolcemente con piccole dosi crescenti di pazzia. Così, esattamente come gli spettatori paganti e suggestionabili del luna park, anche noi cominciamo a credere negli spettacoli messi in scena: all’uomo più forte del mondo, al nano, al veggente, al mentalista e soprattutto all’uomo-bestia. Gli spettatori vengono lasciati a marinare nell’esagerazione che diventa gradualmente la nuova realtà.

Al che non ci scandalizziamo della morte dell’uomo-bestia né dello scarico del suo cadavere in un vicolo angusto, lasciato a marcire sotto il diluvio. Non ci infastidisce che subito dopo aver compiuto un’azione così deplorevole, Stan e Clem mangiano e conversano amabilmente su come ammaestrare un nuovo uomo-bestia. In fondo non battiamo ciglio nemmeno quando Stanton “per errore” (chissà) provoca la morte del suo mentore propinandogli l’etanolo al posto del consueto liquore.

The American Dream

DUE ANNI DOPO giganteggia sullo schermo per catapultarci nella seconda sezione del film, dove Stanton e la sua amata Molly si trasferiscono in città, a Buffalo, e mettono in piedi uno spettacolo il cui successo dura due anni.

È davvero incredibile come i costumi e le scenografie ci insegnano tutto quel che c’è da sapere sul cambiamento nella vita dei protagonisti: se questa parte fosse muta si leggerebbe comunque in modo trasparente il salto sociale che i due sfoggiano tra vestiti, sigari, suite di lusso e molto altro ancora. Riaccendiamo l’audio e godiamoci uno degli aspetti che più mi ha colpito del film: lo sviluppo dei personaggi.

Avevamo lasciato un giovane Stan affamato, talentuoso, passionale e affettuoso con la sua compagna; lo ritroviamo trasformato in una cinica macchina stampa moneta cui unico obbiettivo è produrre guadagno. Molly che sbaglia durante uno spettacolo o la dottoressa Ritter che sfida le sue abilità davanti al pubblico, diventano meri ostacoli da disintegrare sulla sua rampa per il successo.

Tutto per il trionfo e la pecunia, anche superare quel labile confine tra illusionista e truffatore, con o senza il benestare della sua amata consorte. Badare bene che questi non sono elementi casuali aggiunti alla personalità di Stan, bensì uno sviluppo molto ben oculato della sua personalità.

Trovo ci sia un problema fondamentale nel secondo atto di Nightmare Alley e si può riassumere nella sotto-trama della psicologa Ritter: la sua presenza nella pellicola sembra solo un espediente narrativo per portare avanti la trama e far scoprire al pubblico il passato del protagonista. Il personaggio della dottoressa risulta piatto e un po’ forzato all’interno del flusso della narrazione. Se è vero che la scrittura del secondo atto vuole dare spessore alle storyline e preparare un climax finale per chiuderle ritmicamente, questa ricerca risulta estremamente noiosa, quasi tediosa. Decisamente troppo lunga.

E alla fine della fiera, chi si illude?

“Sai, ho pensato a cosa ha detto il signor Carlisle riguardo a ricongiungerci con nostro figlio”

BOOM la moglie del giudice Kimball spara in testa al marito e poi si suicida per riabbracciare il figlio morto che Stan aveva finto di contattare durante una truffaldina seduta privata di spiritismo.

Il climax è iniziato. Il ritmo della narrazione si serra e tutti i personaggi sono stati collocati nelle loro posizioni durante il secondo atto: non si torna più indietro. Stan fallisce la sua truffa e nel mentre uccide due persone, si convince di averlo fatto per avere salva la pelle ma non è vero: lo sa Molly, lo sappiamo noi e in fondo lo sa anche lui.

La dottoressa Ritter si toglie la maschera e si rivela per quello che è: una fredda truffatrice che aveva intenzione di rovinare Stan fin da subito. Stanton fugge dalla polizia e si nasconde nel vagone di un treno, circondandosi delle gabbie degli animali e formando una tremenda gabbia metaforica premonitrice del futuro che lo aspetta.

Poi tutto si ferma. La corsa, il montaggio serrato, l’atmosfera si calma. Vediamo uno Stan distrutto, inebriato e completamente dipendente dall’alcol. Il tentativo di tornare alle sue origini, a fare il mentalista per un luna park, con lo stesso identico feto sott’olio che lo segue con lo sguardo. La ruota gira e di certo il nostro Stanton Carlisle non si merita una seconda occasione.

Che ne dici di fare l’uomo bestia? Solo temporaneamente, sia chiaro“.

La recensione in conclusione de La fiera delle illusioni

Nightmare Alley non è solo un film godibile ma è anche un lavoro estremamente affascinante: a partire dalle spettacolari scenografie a cui il regista messicano ci ha abituati nel corso della sua filmografia e che in questo lungometraggio si fanno portabandiera della ricerca della qualità complessiva del film.

I simbolismi sono molteplici e intelligenti nonché centrali nella narrazione della trama: l’orologio del padre di Stan, rubato dal suo cadavere come ricordo dello stesso padre che lui stesso ha ucciso brutalmente lasciandolo nella morsa del gelo. L’importanza dello stesso orologio nella sotto-trama con il mentore Pete, che incarna allora una seconda figura paterna e, non a caso, viene anch’esso ucciso da Stanton.

L’uomo bestia, o come viene inteso da Del Toro, l’uomo è una bestia. La visione nichilista e misantropa del regista esplode nella scrittura dei suoi personaggi: qualsiasi essere umano prenda parola sullo schermo è un terribile mostro pronto a uccidere per il proprio tornaconto.

Ma non tutto è oro quel che luccica: il ritmo de La fiera delle illusioni è estremamente lento e se all’inizio il film scorre meglio per via della curiosità verso i personaggi e le peculiari scenografie, la parte centrale è veramente un parto infinito. La scrittura è eccellente così come lo sviluppo dei personaggi. Decisamente sottotono è invece lo sviluppo dei personaggi secondari, della trama e dei dialoghi (alcuni dialoghi mi hanno fatto venir voglia di prendermi le orecchie a martellate).

Tutto sommato il nuovo lungometraggio di Del Toro parla a un pubblico informato. È un film impegnato e impegnativo che necessita di una certa ginnastica mentale e forse di una certa cultura generale cinematografica per essere capito e apprezzato appieno. D’altronde forse è questo quello di cui il cinema ha bisogno nel 2022.


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Pubblicato da Libe

Appassionato perso di storie, film, letteratura, videogiochi e tutto quel che fino a una decade fa veniva considerata una perdita di tempo, esperto di NULLA. Unite a queste informazioni alla propensione per la scrittura e al mio esasperante spirito critico e otterrete quel mix letale di mediocrità che è la mia vita, e che ho deciso di condividere con voi per la vostra felicità.